MARIO E ANNA

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Mario e Anna escono dal policlinico, è sera e sono stanchi, la loro età nemmeno li aiuta avendo entrambi passata la soglia dei 70. Per lo meno escono non preoccupati come lo erano quando arrivarono per la visita a Mario, anche se lui rimane comunque preoccupato.

L’uomo cammina impacciato con quelle due stampelle, lei lo tiene con la propria mano poggiata dietro il gomito di lui. Camminano lentamente. Arrivati alla fermata della metro “Policlinico” scendono le scale, quelle fisse sono troppe ma soprattutto strette e ripide, scelgono quindi quelle mobili, ma anche qui Mario ha difficoltà nel sincronizzarsi con loro.

Giunti in banchina attendono il treno. Eccolo che arriva. Entrano e trovano un bel po’ di gente all’interno del vagone, i posti a sedere sono occupati, io, salito a Laurentina, come li vedo chiudo il libro che stavo leggendo e faccio per alzarmi ma una coppia mi anticipa e li fa sedere al loro posto.

Lungo entrambe le braccia, Mario ha una serie di macchie, sinceramente credo siano ematomi anche se il colore non è quello livido classico bensì sono di un nero cenere. Sembra come se 40 anni fa si fosse tatuato la cartina del mondo ma dopo tanto tempo l’inchiostro si fosse scolorito ed i contorni avessero perso i dettagli di una volta. Le macchie arrivano fin sul dorso delle mani rendendole di grigio maculate. Butto un occhio per curiosità sul suo viso per vedere se ne ha anche lì, negativo.

Lui ha la faccia cupa, più che preoccupata sembra scocciata, forse non per le macchie in sé per sé, piuttosto per i vari giri che queste lo costringeranno a fare tra analisi, accertamenti, visite e compagnia bella.

La moglie, Anna, invece è sorridente, cerca di parlare di cose futili, gli fa notare un giovane ragazzo che ha dei capelli viola e totalmente spettinati(a me ricorda il personaggio di Scemo e più scemo, non Jim Carrey, l’altro).

Lui accenna una smorfia che somiglia molto alla lontana ad un sorriso.

Io gli sono seduto davanti, ogni tanto alzo gli occhi dal libro per osservarli.

Anna continua a giocarsi ulteriori carte per tirarlo un po’ su ma senza gran successo. Lui sbuffa, con le mani mantiene le stampelle dritte, continua a guardare e commentare queste vaste macchie lungo gli arti, finché la moglie, tenerissima, a bassa voce gli fa “… Mario, a guardarle bene sembrano tatuaggi… e tu lo sai che a me son sempre piaciuti gli uomini tatuati…sono più maschi” e gli fa una carezza con la mano. Stavolta la smorfia sulla bocca di lui, a differenza di prima, si avvicina e somiglia di molto alla forma di un sorriso.

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