Luana la puttana

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Gus

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Tornando a casa la incontrava tutte le sere, seduta su quella sedia dalle gambe storte. Anche lei le aveva così, le gambe: arcate, che ci sarebbe passato un cane con una scopa in bocca, credeva che quella forma fosse dovuta dal peso da sostenere perché la donna era particolarmente grassa e, cattiveria di un Dna, non aveva nemmeno le forme: un tronco unico corpo e culo, la maglietta attillata nera, sempre la stessa o per lo meno il modello e il colore erano ogni notte quelli, copriva a metà la sua panciona con le sue tette enormi che ci si scioglievano sopra. La cellulite era visibile sulle sue cosce anche da seduta e infine i capelli neri, sempre legati, lucenti o forse sarebbe meglio scrivere “lucidi” così cambiando un “c” con una “r” un altro aggettivo troverebbe casa.
Se ci fosse stato un albo delle puttane, lei ne sarebbe stata radiata, anzi non le sarebbe mai stato concesso di effettuare quella attività. Nella realtà quotidiana era definita brutta. Ma trovava riscatto in quella notturna dei peccati, delle perversioni e soprattutto dell’infedeltà dove tutto è il contrario di tutto e la ragione va a dormire dando prima la sveglia all’istinto.

Gus era schifato e allo stesso tempo incuriosito da quella figura così sporca e decadente e non capiva come una donna così brutta potesse vendere il suo corpo. O forse non capiva come potesse esserci qualcuno disposto a pagare per fare sesso con lei. In ogni caso, non capiva. E ciò che non capiva lo incuriosiva.
Ogni sera tornando da lavoro la incrociava, tra l’altro la postazione di lavoro della donna era proprio davanti a uno stop, quindi fermandosi con la macchina era impossibile non vederla.
In una di quelle sere l’uomo si fermó con l’auto davanti a lei, nello spazio clienti, nel momento in cui lo fece già se ne pentì. L’intenzione di farlo si era palesata all’ultimo istante, fino a qualche secondo prima non gli era passata nemmeno l’idea di una simile possibilità e si trovò a macchina ferma davanti ad una squallida puttana di strada, che abituata a quella scena e aspettando la solita domanda, non alzò nemmeno lo sguardo.
“…ehm, quanto?”, chiese lui schiarendosi la voce.
“30 euro, completo” rispose Luana, continuando ad avere lo sguardo basso verso le sue ginocchia.
“Sali”
Luana sistemó le sue cose in borsa e salì sull’auto. Diede le indicazioni su dove appartarsi e una volta arrivati Gus le chiese il nome.
“Tutti mi chiamano Luana la puttana”, rispose.
“È il tuo vero nome?”
“Naturalmente, Luana è il nome e Puttana il cognome”, rispose acidamente Luana, “in realtà mi chiamo Lara.”
“E perché ti chiamano Luana?”
“Perché fa rima con puttana, perché sennò?”
“Beh, potevi farti chiamare Lara la bocchinara, così avresti mantenuto il tuo vero nome.”
Lara-Luana lo fulminó con lo sguardo.
Gus non era il tipo dalla frase giusta nel momento giusto, e pur sapendolo non gli veniva mai nemmeno il dubbio di tacere. Non sapeva come spiegare che in fondo voleva dire qualcosa di piacevole, sarebbe stato un modo per accontentare sia lei che i clienti. Gli dispiaceva che quella donna oltre ad aver perso i connotati di essere umano fosse stata anche usurpata del nome. Non le rimaneva più niente di reale.
“Perdonami non volevo offenderti” fu l’unica cosa che Gus riuscì a dire.
“Come mai fai la… prostituta?”, chiese l’uomo cercando di tessere un, seppur leggero, filo di empatia con lei.
“Mia madre lo era, così come mia nonna e ora io e anche mia sorella, che lavora a due incroci da qui”. Luana inventava risposte diverse ogni volta che le facevano quella domanda. Una volta si spinse oltre con la fantasia, volle passare per una principessa olandese la cui famiglia perse tutto perché il padre giocava d’azzardo. E così decisero di mandarla in Italia a 15 anni. In quell’occasione poteva anche raccontare di venire da Marte, dal momento che il suo cliente glielo chiese mentre si sbottonava l’ultimo bottone della patta e non la stava minimamente ascoltando.
“Tirati giù i pantaloni”, ordinò Luana la puttana, ma Gus rispose: “stasera voglio fare qualcosa che non hai mai fatto con nessuno”.
Luana non accennò nemmeno una smorfia, erano tutti così scontati i suoi clienti, convinti di essere originali e diversi ma proprio questo li rendeva uguali.
“Sentiamo un po’, cosa vorresti fare?”, chiese svogliatamente la donna mentre guardava annoiata fuori dal finestrino le luci della pompa di benzina poco più avanti. Un ragazzo scendeva dalla macchina per comprare le sigarette dal distributore automatico, la fidanzatina era in macchina con il cellulare.
“Ti vedo tutte le sere con un libro e vorrei che mi leggessi quello che stavi leggendo prima che mi fermassi con la macchina.”
Lei rise, aspettando la seconda parte della frase che avrebbe scommesso essere un sto scherzando.
Ma Gus non scherzava.

macchina parcheggiata nel buio

In un silenzio infastidito solo da flebili rumori lontani, la lucifuga auto era parcheggiata in un grande prato totalmente buio, l’abitacolo era leggermente illuminato rendendo la vettura, ad un lontano spettatore esterno, una piccola lanterna. Luana e Gus tirarono indietro i propri sedili, lui fece partire la sua playlist, Suzanne creava un’atmosfera perfetta.
“And she shows you where to look
Among the garbage and the flowers
There are heroes in the seaweed
There are children in the morning
They are leaning out for love
And they will lean that way forever
While Suzanne holds the mirror “

Si allungò appoggiando la testa sulle gambe di lei, lei cominciò a leggere la storia di un uomo che aveva perso tutto: l’amore, la famiglia, i soldi e la libertà. Poteva essere la storia di lei, se non fosse che si può perdere solo ciò che una volta si è posseduto. Raccontava a Gus di Edmond Dantes, un giovane che una volta toccato il fondo oscuro dell’esistenza si era ritrovato con gli occhi della morte a un palmo dal viso, ma riuscì a riscattare la sua vita grazie alla fantasia dell’autore che gli fece fare un’evasione impossibile e al ritrovamento di un tesoro infinito trasformando il giovane in un uomo dal fascino irresistibile.
Gus ascoltava la storia tenendo gli occhi chiusi, vedeva l’ombra della mano di Lara muoversi lentamente davanti le sue palpebre, come fossero un telo da dove si intravede l’ombra di una donna mentre si spoglia, e immaginava le scene raccontate: Luana divenne Lara. I 30 euro prevedevano, oltre alla lettura a bassa voce, che lei passasse anche le sue dita tra i capelli dell’uomo e che lo accarezzasse sul viso: da puttana del sesso diventò puttana di affetto, la prostituzione delle coccole. In fondo, anche gli uomini ne hanno bisogno e i bisognosi pagherebbero per averle, così come per gli psicologi, pagati per ascoltarci senza giudicare: una vera prostituzione dell’amicizia. Ma la verità, diciamolo, è che trovare amici come gli psicologi o puttane come Luana è particolarmente difficile.

Dopo mezz’ora i due terminarono il rapporto letterario, Luana la puttana non aveva papponi che la seguivano imponendole orari rigidi, era sempre stato un bene perché non aveva mai dovuto dare loro una parte dei pochi soldi che guadagnava ma anche un male, perché forse avrebbe potuto evitare le bastonate che almeno una volta al mese prendeva da balordi sempre diversi. Ma magari le avrebbe ricevute lo stesso da quella figura dal nome ingrato: il protettore. Insomma, in un modo o nell’altro di botte non ne sarebbe mai stata sprovvista.
Tirarono su gli schienali e tornarono al punto di partenza. Gus salutò Lara con un “grazie”. Nessun cliente l’aveva mai lasciata con quella parola e soprattutto nessuno le aveva mai lasciato un sorriso sulle labbra. La macchina andò via tra la nebbia che si era formata per la forte umidità della zona, quei lontani bagliori rossi dei fanali posteriori che donavano un’aria di imbarazzata felicità all’auto forse erano presenti anche sulle guance del conducente.

La stessa scena si ripeté ancora: Gus arrivava tutti i giorni alla stessa ora e con la stessa richiesta oscena, si metteva comodo sulle larghe cosce di Lara e la ascoltava con le orecchie e con la pelle, fu così per i successivi 30 giorni, tanto fu il tempo necessario per terminare la lettura de “Il conte di Montecristo”.
La sera dopo la fine del libro, alle 20 in punto, Gus arrivò come di consueto allo stop con l’auto e si fermò. Luana non c’era. “Forse è con un cliente” si disse stupito l’uomo, decise così di aspettare, ma dopo un’ora non era ancora arrivata. La sedia era rivolta su un fianco con le gambe spezzate, il nero degli arbusti, della terra e del carbone bruciati nei giorni precedenti per scaldare la donna durante la notte avevano smesso di fumare da un bel pezzo. Tra buste e bottiglie di plastiche vuote e fazzoletti sparsi notò un libro poggiato sopra un pezzo di stoffa accanto ad un piccolo masso. In mezzo a tanto schifo grigio quel piccolo oggetto emanava luce e pulizia.
Gus lo prese e lo aprì. C’era una dedica:
“Grazie per avermi raccontato la storia di una persona forse sola, ma sicuramente buona come non credevo avrei mai incontrato. Le storie migliori sono quelle reali e tu me ne hai regalata una. Ora sta a me scrivere il finale. Grazie. Lara”.
La forma delle sopracciglia tradirono l’amara sorpresa di Gus, che, seppure felice per Lara, era dispiaciuto per non poter più usufruire dei servizi di lei a cui era ormai piacevolmente abituato. Prese il libro e lo portò via con sé. Non voleva perdere l’appuntamento con la lettura delle 20 a cui era gelosamente affezionato, così cominciò ad andare tutte le sere in un parco vicino casa a leggere. Oltre alle poche persone che portavano i propri cani a spasso non c’era nessun altro. Una sera però il destino scrisse, nella sua storia, di una donna che si sedette sulla panchina accanto a lui e aprì un libro. I due si scambiarono un sorriso di complicità e Gus, realizzato il titolo del libro sulle gambe di lei, disse: “il conte di Montecristo, un libro che mi è rimasto nel cuore, ma fai attenzione perché potrebbe cambiare la tua vita”. E infatti lo aveva appena fatto. Di nuovo.

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