Maledetta primavera

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Erano già 5 minuti che era ferma nel traffico sotto la pioggia. Nel buio della notte il parabrezza dell’auto era diventato un quadro su tela nera, a causa dell’acqua i palazzi avevano perso i contorni, così come i lampioni e le auto, ferme in fila, e le persone e il semaforo. Il tergicristallo non faceva in tempo ad asciugare che altre gocce bagnavano il vetro, le spazzole andavano da una parte all’altra alla velocità minima, facendo quasi tenerezza, contro la forte pioggia che scendeva. Ma ad Alice piaceva vedere il vetro bagnato. Con tutte quelle macchie rosse indefinite di fari e luci varie, sparse sulla tela del vetro davanti ai suoi occhi. Quelle rosse aumentavano di intensità ad ogni frenata, gli occhi di Alice ne fissavano una, quasi ipnotizzati, in lei le reazioni e la fretta avevano la stessa quantità: pari a zero. L’ingorgo non la infastidiva affatto. Non aveva acceso l’autoradio, gli unici suoni erano i lamenti delle spazzole e i clacson delle macchine che entravano in macchina in punta di piedi, quasi per rispetto per non darle fastidio, tanto il suono era ovattato.

Quando finalmente arrivò allo svincolo del raccordo la rampa era libera, la maggior parte degli automobilisti andava versò la città, lei invece andava verso… lei andava… andava.

Con il dito accese il cellulare e fece partire la sua playlist, il brano fu scelto dalla funzione random e così da un luogo chiamato nostalgia, dove la voce di Van Morrison dimora, iniziò “These are the days”.

“This old house will be quiet
I know we’re tired right now
Someday we’ll laugh about it
Let’s slow it down and raise a glass
‘Cause these are the days that we’ll want back”

“Questa vecchia casa sarà tranquilla

So che siamo stanchi adesso

Un giorno ne rideremo

Rallentiamo e alziamo al cielo un calice

Perché questi sono i giorni che vorremo indietro.”

Anche Alice era stanca, non sapeva se un giorno ne avrebbe riso, ma sicuramente avrebbe voluto indietro i giorni, quelli di quando era bambina.

La strada oramai era libera, la corsia di relax, quella di destra, era il suo binario dove lei guidava pensierosa ma tranquilla, senza stress, con le labbra mormorava le parole della canzone e con la mente viaggiava su un’altra corsia, stavolta quella più veloce a sinistra.

Nelle vicinanze del casello, rallentò, abbassò il finestrino e Matteo allungò il braccio per ritirare il biglietto dell’autostrada, nello stesso momento la musica ne approfittò per fuoriuscire e disperdersi nell’aria portando con sé le parole:

Non so più fare
Come se non fosse amore
Se per errore
Chiudo gli occhi e penso a te”

Pausa-

Il ragazzo mise in pausa, voleva trattenere il ritornello per poterlo cantare liberamente una volta passata la sbarra e così fu, quel “Torneraaai, maledetta primavera” arrivò però lo stesso troppo presto, il contagiri era oltre i tremila, il motore gridava una richiesta di pietà perché la marcia era troppo bassa per quella velocità ma la mano che doveva cambiarla era impegnata a volteggiare in aria a pugno chiuso, un momento così alto, pieno di pathos, non poteva venire interrotto per un volgare cambio di marcia, un ritornello che la psicologia, la neuropsichiatria e la scienza del comportamento dovrebbero studiare, un pezzo di musica che chi lo ascolta non può non cantare con passione e a squarciagola,  in quel momento siamo tutti fratelli e sorelle, siamo un tutt’uno, non c’è distinzione di razza, di sesso, di bellezza o altri canoni, timidi ed espansivi, gay e etero, stonati come campane rotte o umani usignoli, testa rasata di Casapound o rasta del centro sociale, siamo tutti uguali e ci chiamiamo Loretta Goggi, forse c’è solo la distinzione di passato, tra chi c’è cresciuto con questa canzone e chi no, ma nessuno di quelli che la conoscono ne è indenne e di questi, quei pochi che non la cantano a voce lo fanno sicuramente nella  loro testa e chi lo nega è un bugiardo destinato in un girone dell’inferno che Dante, essendosi permesso di nascere secoli prima di “Maledetta primavera”, non poté descrivere, altrimenti l’avrebbe fatto. E allora cantiamo tutti insieme ad alta voce:

Per innamorarmi basta un’ora!
Che fretta c’era!
Maledetta primavera
Che fretta c’era
Se fa male solo a me…”

La pioggia stava morendo, rimaneva qualche lacrima sporadica che cadeva di tanto in tanto, Alice poté finalmente aprire il vetro, entrò l’aria fresca di quella notte di inizio autunno, mise fuori il braccio con il palmo della mano all’insù, lo riteneva un gesto obbligatorio quando ascoltava “Cry baby” cantata da Janis Joplin, un altro obbligo era cantarla a squarciagola, l’avrebbe voluta cantare così forte che alla fine mimò  solo le parole con le labbra, dimenando la testa a destra e sinistra, invitando e sentendosi invitata a piangere, bambina piangi, CRY BABY, nessuno ti amerà come ti amerei io, chi prenderà il tuo dolore? Chi il tuo mal di cuore? So che hai altre lacrime da piangere e allora piangi bambina, CRY CRY BABY!

E Alice piangeva, il cuore le si stringeva fino a farsi piccolo e più veniva schiacciato più le uscivano le lacrime, Cry bambina Alice, cry, quando si è tristi e soli si è bambini e si piange perché sembra tutto semplice ma proprio perché tale, complicato da risolvere, Alice quel CRY graffiato da Janis lo rivolgeva a sé stessa, cercava di svuotarsi, forse sono le lacrime a portare il peso della tristezza, del dolore, quindi più si piange più ci si alleggerisce e non lo si può fare a comando perciò quando si ha la possibilità di farlo bisogna approfittarne e piangere a più non posso per potersi sentire più leggeri.

Autogrill: 1km, si accese la luce della freccia destra dell’auto e Alice uscì per entrare nel parcheggio.

Un uomo sorpassando un’auto vide al suo interno un ragazzo dimenarsi e dai movimenti della bocca era chiaro che stesse cantando, sorrise, e mentre lo stava per passare sollevò il piede dall’acceleratore per rallentare la velocità, Matteo si girò verso di lui e gli dedicò un quesito: Che resta di un sogno erotico se, al risveglio è diventato un poeta?

L’uomo, ignaro della domanda posta, riprese ad accelerare e se ne andò, tornando nell’anonimato delle vite altrui.

Matteo era divertito e raggiante, in fin dei conti Che importa se per innamorarsi basta un’ora?  L’importante è passare un’ora con la persona giusta, e quella persona possiamo anche essere noi stessi, dentro un’auto in una notte di autunno a cantare liberi.

Autogrill: 1km, si accese la luce della freccia destra dell’auto e Matteo uscì per entrare nel parcheggio.

Per quanto si fosse asciugata gli occhi, il rosso delle pupille tradiva lo stesso il pianto che c’era stato, ma Alice sperava venisse scambiato per sonno, evitò gli sguardi, soprattutto quelli degli uomini fuori dalle proprie auto che si stiravano mostrando pance e peli non richiesti, mai farsi vedere fragile agli occhi del nemico, davanti alla porta di ingresso fece passare una donna con due bambine che tenevano in mano una bevanda, nessuna delle tre ringraziò Alice per aver tenuto la porta aperta e per averle fatte passare, gli auguri di morte non tardarono ad arrivare nella testa della ragazza.

Canticchiando Na, na, na, na, na, na, na, naaa, la parte finale di Maledetta Primavera,Matteo uscì dalla macchina. Una donna straniera con una felpa, dei pantaloncini corti grigi e dei sandali teneva al guinzaglio un labrador che a un metro e mezzo, tutto ricurvo e con uno sguardo da colpevole, stava cagando su un praticello. Un’occhiata a destra e a sinistra per attraversare il piazzale e arrivare alla porta d’entrata dove Alice, appena passata, aveva lasciato chiudersi alle spalle noncurante se stesse arrivando qualcuno.

I due si trovarono in fila alla cassa, davanti la ragazza, dietro il ragazzo. In genere si descrive un’azione che avviene e non il contrario, ma i cellulari hanno rivoluzionato la società e non solo, per questo oggi giorno va evidenziato che i due nell’attesa non stavano guardando lo smartphone, Matteo notò il profumo dei capelli di Alice, stranamente gli venne la sensazione di un ricordo senza immagini, quell’odore lo riportava a qualcosa, ma non sapeva cosa. Però gli piaceva. E allora chiuse gli occhi, fece per avvicinarsi leggermente e inspirò. Stavolta la sua mente tornò alle elementari, alla sua maestra Alida, in realtà non aveva idea di quale profumo avesse avuto la sua insegnate 30 anni prima, però forse lo sapeva l’olfatto, fatto sta che riusciva ad avere la sensazione di essere in classe e di vedere seduta alla cattedra la sua maestra, un breve filmato quasi statico, regalava giusto un paio di movimenti, bloccato nella durata di un paio di secondi, ma la magia era fatta, lo sblocco di un ricordo dimenticato o la creazione di uno falso era avvenuto. E che bello che era.

Alice invece alzò lo sguardo verso il soffitto, notò alcune lampadine fulminate, dei pannelli scollati su un lato e una grossa ragnatela in un angolo, dove era convinta risiedesse un ragno, che nella sua testa immaginava proporzionale alla tela, quindi enorme, e si domandava chissà quante vite aveva visto da quella posizione privilegiata, quanti bambini piagnucolanti, quante coppie innamorate, quante clandestine, litigi, furti, risate, comitive di persone o persone sole, Alice gli avrebbe voluto fare un sacco di domande, magari vedendo tutto quel vivere aveva capito qualcosa che la avrebbe potuta aiutare a stare meglio. Alla fine, pensava, amaramente, che era così disperata che anche un ragno le avrebbe potuto dare una lezione di vita.

“Prego”, le chiese la cassiera.

“Un caffè e uno di questi cioccolatini”, rispose Alice prendendo un dolcetto in mano.

“Prego” fece di nuovo la cassiera, ma stavolta riferita a Matteo.

“Un caffè e una busta di patatine”, rispose il giovane.

Al bancone i due erano distanti, ognuno catturato dal proprio mondo, noncuranti dell’altro, presero entrambi il caffè, una volta bevuto si diressero senza troppe esitazioni verso l’uscita, Alice era qualche passo più avanti, attraversando la porta a vetro notò, dal riflesso, avvicinarsi qualcuno alle sue spalle e le venne naturale tenere la porta e aspettare, Matteo fece uno scatto di un paio di metri per non farla attendere troppo.

“Che fretta c’era”, le disse Alice

Lui non riuscì a trattenere un sorriso.

 “Maledetta primavera”, le rispose lui.

Per fortuna una bocca non dimentica mai la forma del sorriso, così dopo mesi all’ingiù, finalmente le labbra di Alice tornarono all’insù, seppur per un breve momento.

Le portiere delle due auto si chiusero, tenendo fuori i rumori e le vite che non erano loro, il labrador a quell’ora era già avanti di qualche kilometro, Alice vide l’auto dello sconosciuto Matteo partire insieme a lei, così gli fece un gesto per invitarlo a passare, Matteo ringraziò con un cenno del capo, le fece un occhiolino e se ne andò.

Di nuovo la bocca di Alice sorrise poi ordinò: “Ehi google, riproduci Maledetta primavera su Spotify”.

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