LA (A)NORMALITA’ DI UN SORRISO

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Il fiume di gente che scende dalla metro di Termini sfocia, come fosse un affluente, nel lago di persone che popola la banchina della stazione. Ci sono personaggi di tutti i tipi e di tutte le età.

Un riconoscimento particolare, oggi, va al giovane ragazzo con i baffi luuunghi, manco fosse un pesce gatto, e all’insù alla Salvador Dalì.

Alti, bassi, magri, grassi, bianchi, gialli, neri, chi parla, chi guarda il cellulare mentre cammina, chi gioca con il cellulare mentre cammina… chi chatta con il cellulare mentre cammina, chi ascolta musica dalle cuffiette, tipi ordinariamente strani e tipi straordinariamente comuni.

Una signora fa parte dell’ultima categoria, bassina leggermente sovrappeso, una di quelle di cui non percepisci la presenza. Ti passa davanti e non la memorizzi, a maggior ragione se sta in mezzo a un mare di gente. Credo che, se per qualche magia, dovesse improvvisamente sparire nessuno se ne accorgerebbe.

Porta gli occhiali?… Boh… ha una borsetta?… Non c’ho fatto caso… colore dei capelli?… N.D… Colore degli occhi?… Se vabbè… Però ha una busta di plastica in mano.

Cammina con lo sguardo basso, si avvicina a una zingara che sta tutti i giorni nello stesso angoletto con il figlio (avrò fatto più assenze io a lavoro, che lei).

L’anonima donna esce fuori dal mucchio, si avvicina alla zingarella, si china e le lascia la busta, in cui intravedo dei panni. La donna in basso ringrazia, quella dall’alto sorride e quel sorriso se lo porta dietro, anche quando si ributta nella mischia. Tutto dura una decina di secondi.

Ora la donna, quella comune, quella anonima, quella che, se non ci fosse, nessuno ne sentirebbe la mancanza… Sì, proprio lei ora, praticamente, è l’unica che tra tante bocche chiuse, serie e tristi ha la sua che sorride. E questo la rende speciale.

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